Nel cuore di Federico

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Federico crebbe a Palermo, educato da un imam musulmano e da un frate cristiano, mentre la tutela su di lui era contesa tra il papa, i tedeschi e i normanni. Ben presto fece conoscere al mondo il suo carattere: a soli 18 anni abbandonò la Sicilia diretto in Germania, per rivendicare la corona imperiale contro il rivale pretendente Ottone di Brunswick. Grazie alle giuste alleanze e al sostegno del papa, Federico prevalse e fu incoronato imperatore prima ad Aquisgrana, la città di Carlomagno, poi a Roma.

In Sicilia Federico non tornò più, salvo rare eccezioni. Preferì stabilirsi in Puglia, in una zona di campagna presso la chiesa di Santa Maria de Focis, che grazie a lui sarebbe diventata la città di Foggia. In realtà la sua corte fu spesso itinerante, a causa delle numerose guerre e spedizioni diplomatiche che Federico dovette sostenere in Germania, in Terrasanta o contro i Comuni del nord e del centro Italia.

Nei suoi spostamenti l’imperatore portava sempre al seguito un pittoresco corteo di animali selvatici, giullari, astrologi, poeti e la fedelissima guardia del corpo saracena, che aveva il suo quartier generale a Lucera, poco lontano da Foggia.

Nei periodi di pace andava volentieri a caccia nella piana pugliese, allora ricoperta da una fitta boscaglia ricca di selvaggina. D’estate invece, quando il sole bruciava l’assolata pianura, preferiva spostarsi verso il monte Vulture per lunghe battute di falconeria al Lago Pesole, un’arte sulla quale scrisse anche un manuale: De Arte Venandi Cum Avibus (L’arte di cacciare con gli uccelli). Un esemplare in pergamena con bellissime miniature colorate di questo trattato è conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana.

Ma ai piedi del Vulture sorgeva anche Melfi, l’antica capitale dei suoi avi. Durante il regno di Federico la città divenne un importante centro culturale e di amministrazione: nel castello, sottratto al potere dei funzionari e messo alle dirette dipendenze dell’imperatore, fu insediato l’Archivio del Regno. A Venosa, invece, fu collocato il Tesoro, cioè l’amministrazione delle finanze statali.

Numerosi personaggi illustri popolarono la città in questi anni. Il vescovo melfitano Richerio, amico personale e fiduciario di Federico II, fu spesso inviato in delicate e lontane missioni diplomatiche come la Dieta di Augusta e la rappresentanza in Terrasanta.

Nelle residenze cittadine i notai e i funzionari della Curia regia, formati nelle prestigiose scuole capuane e amalfitane o presso la nuova università di Napoli, voluta dallo stesso Federico, redigevano preziosi codici e facevano importanti traduzioni di opere arabe, come le Abbreviationes e il  De Animalibus di Avicenna, eseguite da Enrico di Colonia nella casa del magister Volmaro, medico personale dell’imperatore. 

Molti nobili, inoltre, venivano a curarsi in città per la fama dei medici imperiali, della scuola salernitana.

A sera, poi, l’imperatore amava trattenersi in lunghe discussioni, ponendo questioni filosofiche a sapienti e sufi orientali, facendo esperimenti scientifici insieme ai suoi amici più fidati come l’astrologo Michael di Scozia e il gran maestro dei cavalieri teutonici Hermann Von Salza, oppure ascoltando i versi d’amore in lingua italiana di Cielo d’Alcamo e Jacopo da Lentini.

L’interesse dell’imperatore per le arti è testimoniato da una ricca documentazione d’archivio: ad esempio, con una lettera datata a Melfi nel 1236 e indirizzata ai Magistri in philosophia docentibus, inviava la traduzione in latino da lui stesso fatta curare dal greco e dall’arabo di alcuni trattati di Aristotele e di altri filosofi.

Altre lettere scritte a Melfi testimoniano la fitta corrispondenza politica intrattenuta con sovrani e comunità di tutto il mondo come Venceslao re di Boemia, Gerardo vescovo di Brema e i comuni della Tuscia, o documenti amministrativi che riguardano luoghi lontani come la sede episcopale di Ratisbona, i monasteri cistercensi austriaci e il patto federativo con Luigi re di Francia.

Ma fu proprio in questo castello che nel 1231 l’imperatore decise di far riordinare, sistemare e promulgare le celebri Costituzioni del Regno, il più importante corpus legislativo del Medioevo. Con questa fondamentale opera Federico intendeva recepire, ampliare e organizzare in un unico sistema le tante leggi e le varie disposizioni amministrative che regolavano il suo regno e che provenivano da moltissime fonti e tradizioni, come le antiche consuetudini franche e longobarde, le norme del diritto romano bizantino risalenti a Giustiniano o le regole amministrative e fiscali arabe, a lui giunte complessivamente attraverso lo stato normanno fondato da suo nonno Ruggero.

Per la realizzazione di quest’imponente opera volle il contributo dei migliori giuristi della Curia del Re, tra cui il capuano Pier delle Vigne, protonotario del regno, reso celebre da Dante nel XIII canto dell’Inferno.

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