Corradino di Svevia (Aleardo Aleardi)

shadow

Un giovinetto pallido e bello, con la chioma d’oro,
con la pupilla del color del mare, con un viso gentil da sventurato,
Toccò la sponda dopo il lungo e mesto remigar de la fuga.

Avea la sveva stella d’argento sul cimiero azzurro,
avea l’aquila sveva in sul mantello.

E quantunque affidar non lo dovesse, Corradino di Svevia era il suo nome.
Il nipote di superbi imperatori perseguito
venia limosinando una sola di sonno ora quïeta.

E qui nel sonno ci fu tradito
e quivi per quanto affaticato occhio si posi,
non trova mai da quella notte il sonno.

La più bella città de le marine
vide fremendo fluttuar un velo funereo su la piazza:

e una bipenne calar sul ceppo, ove posava un capo
con la pupilla del color del mare,
pallido, altero, e con la chioma d’oro.

E vide un guanto trasvolar dal palco sulla livida folla
e non fu scorto chi lo raccogliesse.

Ma nel dì segnato che da le torri sicule tonâro come Arcangeli i Vespri
ei fu veduto allor quel guanto, quasi mano viva,
ghermir la fune che sonò l’appello dei beffardi angioini innanzi a Dio.

Come dilegua una cadente stella, mutò zona lo svevo astro e disparve
e gemendo l’avita aquila volse per morire al natío Reno le piume.

Ma sul Reno natío era un castello
e sul freddo verone era una madre,
Che lagrimava nell’attesa amara:

“Nobile augello che volando vai,
se vieni da la dolce itala terra, dimmi, ài veduto il figlio mio?”
“Lo vidi: era biondo, era bianco, era bëato, Sotto l’arco d’un tempio era sepolto.”

E tu, bella del carme ascoltatrice, s’io ti contristo a me perdona, eterno novellier di sventure.
Apresi ad una lagrima di rugiada il vedovile fior del giacinto
e per sbocciar dal core, necessità di pianto à l’inno mio.

Ma di’: sull’ampia terra una conosci valle felice,
ove giammai non sia l’eco sonata d’un lamento umano?

Dimmi, conosci una beata aiuola, sovra cui non cadesse
una dolente stilla di queste crëature stanche?

Pure ne’ tuoi fissando occhi sereni
combatterò contro le innate e pronte malinconie,
sì che men lento voli per la mia terra, e meno afflitto, il carme.