Pitagorici a Ripacandida

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La penultima saletta lungo il percorso al primo piano del museo, dopo le sale dedicate a Banzi, presenta i reperti di Ripacandida, tra i quali spicca un particolare manufatto di piccola dimensione ma di elevato interesse culturale e storico.

Su uno dei tanti promontori che circondano il Vulture sorge Ripacandida, che dalle sue case bianche e arroccate sulla rupe sorveglia la valle del Bradano. Era un antico percorso che conduceva alle colonie greche sul mare Ionio, dove per lungo tempo visse e operò Pitagora con la sua Scuola filosofica e misterica.

L’insegnamento pitagorico, a differenza della più aristocratica scuola di Elea sul Tirreno, era aperto anche agli stranieri e tra questi agli Enotri, antico e misterioso popolo che abitava i monti della Basilicata e della Calabria. Racconta Aristotele che il re Enotro introdusse per primo la coltivazione della vite e che suo figlio Italo la consolidò, trasformando i pastori in agricoltori e dando il nome di Italia alla sua terra.

Anche se le origini del nome Italia si perdono nel mito, è ormai certo il rapporto tra gli antichi popoli del Vulture e la scuola di Pitagora, proprio attraverso gli scambi che avvenivano lungo la valle del Bradano. Particolarmente significative in questo senso sono le raffigurazioni sul vasellame ritrovato nella necropoli del V secolo a.C. a San Donato presso Ripacandida.

Su una di esse è rappresentato il viaggio celeste che conduce all’immortalità, su un’altra è riprodotto un suonatore di lira in una celebrazione funebre, tutti elementi ricorrenti nei misteri pitagorici. Ma la più interessante è una brocchetta che raffigura l’impatto di un grande meteorite sulla Terra.

Il nostro pianeta è raffigurato al centro di un universo sferico, circondato da sette astri: sole, luna e i cinque pianeti conosciuti nell’antichità. Ma l’aspetto più interessante è la traiettoria del meteorite, rappresentata da una curva su una superficie sferica, che corrisponde a testimonianze antiche come la Meteorologia di Aristotele, dove si riferisce di un cataclisma causato dalla caduta di un corpo celeste in Grecia orientale proprio nel V secolo a.C., ripreso anche da Plinio il Vecchio.

L’evento è rappresentato sul vaso in modo tridimensionale come una traiettoria iperbolica nello spazio, quindi in modo estremamente moderno e accurato, dimostrando così la consapevolezza antichissima che nel cielo esiste materia solida, come sosteneva Pitagora a differenza di quanto più tardi affermerà Aristotele, condizionando l’astronomia per due millenni fino a Galileo e Newton.

Il percorso prosegue a sinistra nell’ultima saletta dedicata agli scavi di Ruvo del Monte, prima di imboccare nuovamente lo scalone per accedere al secondo piano.

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