Dauni e Lucani tra Etruschi e Magna Grecia

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Passano i millenni e i villaggi si moltiplicano, diventando sempre più organizzati e raffinati. Aumenta la densità di popolazione, la mobilità dei gruppi sul territorio e aumentano anche i rischi di scontro, così i villaggi si sviluppano soprattutto su luoghi ben difendibili, sopraelevati ma non troppo distanti dai corsi d’acqua e dalle sorgenti. Sorgono spesso vicini ai valichi montani o alle valli attraversate dai fiumi, come per esempio nel territorio di Melfi a guardia di un guado sull’Ofanto, dove si sviluppa il villaggio del Pisciolo con la sua grande necropoli.

La necropoli ospitava ben 170 sepolture e si trovava lungo la superstrada Ofantina, che la taglia in due, nei pressi di un impianto industriale di estrazione del silicio. I corredi funerari sono composti da vasellame di diversa fattura e da simboli guerreschi, come punte di lancia, di grande varietà e presenti in varie composizioni sia in tombe maschili che femminili o di bambini. Ciò fa pensare a un’organizzazione sociale complessa ed evoluta, nella quale sia le donne che i bambini avevano un ruolo importante.

Ma l’aspetto principale è l’incontro tra culture che caratterizza la zona del Vulture, una terra di confine tra mondi lontani almeno fino al Medioevo. Nei ricchi corredi sono infatti presenti sia elementi artistici della cultura dauna, tipica delle popolazioni della pianura pugliese, sia caratteri riferibili a un misterioso popolo degli Enotri. Questi ultimi erano probabilmente una popolazione italica, cioè di origine o influenza culturale greca, presente a macchia di leopardo sulle montagne dell’Appennino meridionale. Già da quest’epoca nel Vulture si può quindi parlare, più che di un popolo con una propria forte e originaria identità resistente nel tempo, di un crogiolo di lingue, civiltà e costumi dovuto alla particolare posizione geografica.

Le attività economiche sono già le stesse che si conserveranno nei secoli successivi: la coltivazione dei cereali nelle zone più basse e pianeggianti, l’allevamento di ovini e caprini nelle zone più elevate e sui passi di montagna.

Circa 800 anni a.C. compaiono sulle coste ioniche e tirreniche i primi coloni provenienti dalla Grecia, che fondano importanti città come Metaponto, Siris Heraclea, Taranto, Sibari, Crotone, Kallipolis e, sul versante occidentale, Poseidonia-Elea-Paestum, Neapolis, Cuma. All’interno, invece, si spingono a sud gli Etruschi, fino a Capua.

Il punto centrale di incontro è ancora una volta il Vulture, dove si incrociano le valli dell’Ofanto, del Bradano e del Sele. A Melfi, ai margini dell’antico quartiere albanese Chiucchiari dove un tempo erano gli orti cittadini, viene così scoperta un’importante necropoli daunia risalente a quest’epoca. Sulla vicina collina dei Cappuccini e nella zona di Valleverde, oggi residenziale, le sepolture si estendono invece a un periodo più ampio che giunge fino alla prima età imperiale romana (II secolo d.C.). Anche le aree rurali di Leonessa di Melfi, di Monticchio Bagni e quelle già note del Pisciolo e della Rendina continuano a essere abitate e lo saranno senza interruzione fino all’Alto Medioevo.

I corredi funerari della necropoli di Chiucchiari sono ricchissimi e rappresentano i simboli del potere tipici di società strutturate con gerarchie importanti, risalenti al VI e V secolo a.C. Armature in bronzo, elmi, schinieri, scudi e addirittura carri in stile corinzio identificano le sepolture maschili. Monili d’oro, argento, ambra e candelabri in bronzo raffinati corredano invece quelle femminili.

Al gusto greco si affiancano anche manifatture di influenza etrusca come tripodi, bacili e brocche da vino, mestoli a filtro, spiedi e alari per le carni che ci ricordano l’uso rituale del simposio, presente in entrambe le culture.

Il tradizionale vasellame a decorazione geometrica impressa o dipinta cede il passo a un artigianato ceramico fatto di raffigurazioni umane e scene di fantasia. Pochi invece i reperti di origine non sepolcrale. Tra questi le antefisse e gli acroteri di decoro del tetto delle capanne, con raffigurazioni di volti femminili con nimbo, anche di tipo orrido come le Gorgoni, oppure domatori di cavalli.

Nel villaggio del Pisciolo si trovavano anche due tombe principesche a lastroni in pietra, nettamente distinte dalle altre, tradizionalmente scavate direttamente nella terra. Qui i corredi abbandonano i simboli militari e si concentrano, anche nelle tombe maschili, su monili d’oro come alcuni fermatrecce, fibule d’argento e figure d’ambra: un segno dell’accrescimento di rango e del potere dei leader di questa comunità.

Circa un secolo dopo arrivano nel Vulture nuove popolazioni indigene come gli Osci e i Lucani, una tribù appartenente alla galassia etnica dei Sanniti: la cultura locale si modifica ancora. Nelle necropoli di Valleverde e Cappuccini le tombe sono addirittura a camera, con accesso da un corridoio che conduce a una porta in legno con maniglie in bronzo. All’interno, i letti funerari sono scavati direttamente nella roccia e decorati con un cuscino sbozzato. Le pareti riportano segni di intonaco rosso e nero. La posizione dei defunti non è più rannicchiata o fetale, ma diventa supina. I corredi sono più poveri e si limitano a qualche lancia o cinturone, vasi con unguenti e, nelle tombe femminili, pesi da telaio e candelabri di piombo. Raramente si aggiungono fibule in argento e anelli con sigillo.

Secondo le testimonianze di Strabone e di Dionigi di Alicarnasso, questa città sannitica che sorgeva dove ora è Melfi era dedicata al culto di Venere e si chiamava, in qualche modo, Venusia.