Il castello angioino

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La sconfitta degli svevi a opera dei francesi di Carlo I d’Anjoux comportò un ulteriore ampliamento del castello che, con il completamento della cinta esterna e del fossato, l’aggiunta delle tre torri pentagonali, di altre tre rettangolari e il completamento della maestosa cisterna assunse l’attuale fisionomia, progettata dall’architetto militare Pierre d’Agincourt tra il 1277 e il 1280 usando pietrame vulcanico estratta dalla “cava nera” che si trova alle spalle.

L’appartamento del re, piuttosto modesto e oggi in parte crollato, fu realizzato in un angolo appartato lontano dal palazzo centrale, addossato alla bella torre dei quattro venti che veniva usata come studium, dotato di una privata (servizi igienici) e collegato al corpo delle segrete, a sua volta sopraelevato con l’inserimento di contrafforti per edificare un vasto salone di rappresentanza oggi noto come “sala del trono”. Il passaggio di ingresso agli appartamenti controllava l’accesso principale del castello posto sul lato nord ed era protetto da una botola, probabilmente un trabocchetto di estrema difesa alla persona del sovrano.

Con gli Angioini il castello perse la sua funzione amministrativa, trasferita a Napoli insieme con l’Archivio del Regno, e acquistò una crescente funzione di difesa militare, soprattutto nei confronti di insidie e congiure interne, anche dalla stessa città dalla quale si accentuò la separazione costituita dal profondo fossato. Sotto il dominio angioino Melfi fu ceduta per la prima volta in feudo al fiorentino Niccolò Acciaioli, che sostenne vittoriosamente un assedio da parte del re Luigi d’Ungheria.

Con l’arrivo a Napoli degli Aragonesi, il feudo passò a Ser Gianni Caracciolo, amante della regina Giovanna d’Angiò, che si insediò con il titolo di principe. L’amministrazione feudale, incarnata dal castello, si contrappose così agli altri due poteri: quello della diocesi rappresentato dalla Cattedrale con il maestoso campanile e quello, spesso soccombente, della comunità cittadina o universitas, rappresentato dalla piazza della Corte e l’omonimo palazzo, sede del municipio.

Nel 1528 il castello sostenne l’estremo tentativo di difesa del principe Giovanni Caracciolo contro le soverchianti truppe francesi del visconte di Lautrec, in guerra contro l’imperatore Carlo V, che avevano già aperto una breccia nella città e fatto strage della sua popolazione, in quella che passò alla storia come la Pasqua di Sangue. Fatto prigioniero e non avendo ottenuto riscatto, il principe Caracciolo passò dalla parte dei francesi ma la successiva sconfitta di Lautrec a Napoli lo costrinse all’esilio.